Alternativa Libertaria/Federazione dei Comunisti Anarchici

Sezioni di Livorno e Lucca










 

Sindacato


Fine di un'illusione

di Marco Coseschi

da “Comunismo Libertario” N. 30 novembre 1997


Con l'assunzione formale delle responsabilità di governo, da parte del partito della Rifondazione Comunista, cade definitivamente un elemento che nel bene o nel male, aveva contribuito a generare una sorta di ambiguità sul carattere e sulla sostanza che il partito di Bertinotti, con sostenuta abilità strategica, aveva tentato di rappresentare nella sua prima fase di esistenza politica. Tale ambiguità poggiava sostanzialmente sulla capacità di proiezione esterna di un partito che sperimentava il suo progetto di rifondazione teorica, all'interno di una critica puramente formale dell'esperienza storica della socialdemocrazia e, sopra una ideologica presa di distanza dalla degenerazione stalinista dell'esperienza sovietica.

Siamo ai primi anni novanta, il processo di revisione liberal democratico del Pds lacera un corpo militante ed elettorale confuso e disorientato dalla sconfitta storica del blocco "socialista" e dall'insorgere di una crisi economica dirompente che disarticola gli equilibri sociali dell'imperialismo e delle sue forme contestuali di rappresentazione politica.

Il cosiddetto compromesso Fordista viene travolto da un drastico ridimensionamento del saggio di profitto eroso sul terreno della concorrenza globale. Si verifica una caduta verticale delle quote di reddito nazionale atte al sostegno della domanda aggiuntiva ed alla formazione di quote di salario differito come sostegno alle classi e ai ceti subalterni.

Le organizzazioni e le strutture istituzionali di rappresentanza dei lavoratori, irretite dalla logica delle nuove compatibilità economiche dell'imperialismo italiano, cedono ulteriormente sul terreno della collaborazione di classe. In quel dato momento nessuna struttura politica o sindacale della sinistra extra istituzionale è in grado di rappresentare simbolicamente e concretamente un luogo ed un momento di orientamento e di sintesi progettuale per un frantumato corpo sociale aggredito dal nuovo corso di ristrutturazione capitalista.

Rifondazione Comunista si trova così ad operare in un contesto sostanzialmente semplificato dalla assoluta inconsistenza di forme politiche concorrenti sul terreno organizzativo, prima che su quello strategico, favorendo di fatto quel processo che la condurrà in breve tempo verso una reiterata egemonia sopra tutta una serie di soggetti sociali con i quali il neo partito andrà costruendo le premesse di un ritrovato consenso elettorale in grado di farlo rientrare nei giuochi parlamentari ed istituzionali.

Grazie al rilevante pezzo del vecchio apparato del PCI, il neo-partito può contare da subito in una capillare rete di strutture, di militanti e di possibilità economiche che gli permettono un efficace radicamento sul territorio così come all'interno della dimensione sindacale confederale ma anche in un primo momento, durante la stagione dei bulloni, in realtà di movimento a carattere extraconfederale.

La costruzione delle varie componenti di minoranza della Cgil, così come la nascita di alcune realtà del sindacalismo di base, lo Slai Cobas come esempio per tutti, seguono sostanzialmente le indicazioni del neo partito che nella sua prima fase di esperienza adotta tatticamente la pervasività massimalista ed una indefinita prassi movimentista che gli consentirà di attrarre a sé settori sociali e politici non legati alla esperienza storica del Pci, fiduciosi di poter in qualche modo determinare il cosiddetto processo rifondativo o forse perché si erano stancati di esperienze minoritarie consumate nella sinistra extraparlamentare o in quella del parlamentarismo rivoluzionario. Al di là comunque di tutte queste movimentazioni di carattere sia politico che esistenziali, rimane il dato oggettivo, e cioè che Rifondazione, in un primo momento, riesce a dare una idea di sé capace di aggregare una serie di realtà che contribuiranno alla formazione di un immaginario che vuole il neo partito come un qualcosa di diverso dalla tradizione terzinternazionalista, aperto, pluralista nelle sue componenti, ancorato ai movimenti sociali con un orientamento prevalentemente tattico del momento parlamentarista e istituzionale.

La stessa elezione di Bertinotti come segretario, anche se definita in modo non completamente democratico in quanto cooptato dall'esterno, dal sindacato per maggior chiarezza, viene assunta come elemento di convalida di questo procedere discontinuo rispetto alla tradizione togliattiana, e quindi come elemento che rafforzava le aspettative di originalità del nuovo corso.

Il partito a questo punto poteva dirsi fatto, otteneva dei buoni risultati elettorali, diveniva strategico per alcune amministrazioni locali dove la sinistra governava, aveva un segretario capace di usare i sistemi di telecomunicazione, un forte apparato, un discreto radicamento sindacale, un corpo di militanti diffuso dal centro alla periferia, una serie di riferimenti simbolici capaci di ridefinire quel senso di appartenenza sui quali articolare un rinnovato movimento di massa.

Può quindi iniziare la fase due. Innanzi tutto è urgente impostare in maniera più organica una strategia politica e sindacale, che nella fase precedente era stata volutamente resa vaga e apparentemente contaminabile da culture esterne alla storia comunista italiana.

Le figure di Togliatti e Berlinguer, il mito della Cina comunista e della Cuba di Fidel, l'effige guevarista e l'esperienza zapatista offrono gli ingredienti per una ricomposizione dell'identità culturale fondata prevalentemente sopra una operazione di reiterazione dell'aspetto mitologico, capace di connettere sul piano simbolico una diversità di esperienze storiche e teoriche, ma sottraendole così al necessario vaglio critico che avrebbe sicuramente aperto grosse contraddizioni all'interno di un corpo politico formatosi maggiormente attorno al feticismo ideologico dello stalinismo o se preferiamo del socialismo reale.

La questione istituzionale e parlamentare, sostenuta da una oggettiva crescita elettorale, pervade nuovamente tutta l'impostazione politica del neo partito, determinando, coma da buona tradizione socialdemocratica, un forte indebolimento dell'aspetto antagonistico e di classe a favore di una ritrovata cittadinanza negli ingranaggi di mediazione nell'apparato statale e governativo. Sul terreno sindacale la scelta di marginalizzare le esperienze extraconfederali affermata all'interno del partito contro alcune componenti di minoranza, fa emergere chiaramente la necessità di spostare il confronto politico con il concorrente Pds, direttamente sul campo interno alla Cgil, formalizzando di fatto due componenti di minoranza, alternativa sindacale e l'area programmatica dei comunisti, le quali in maniera più o meno evidente faranno riferimento al dualismo di potere presente in Rifondazione Comunista. Da una parte alternativa sindacale che vede in Patta il leader e l'uomo più vicino a Cossutta, dall'altra Rocchi dell'area programmatica più vicino a Bertinotti. Nell'uno come nell'altro caso il non originale concetto della cinghia di trasmissione tra soggetto politico e soggetto sociale si ripropone in una sorta di invarianza metodologica.

Nel frattempo la coalizione di centro destra salta sotto le pressioni di una spinta promiscua che accorpa settori sociali della sinistra istituzionale e forti potentati economici e finanziari della borghesia italiana imperialista. Nasce l'Ulivo e si formalizzano i patti di desistenza tramite i quali Rifondazione permette la costruzione del governo Prodi.

Inizia la terza fase. All'interno del partito si definisce ulteriormente la dialettica tra centristi bertinottiani e la destra cossuttiana, con al centro delle polemiche il grado di sostegno al governo e sopra la necessità di impostare il confronto con il Pds in una forma meno conflittuale. Massimalismo bertinottiano e realismo togliattiano di Cossutta tentano un equilibrio attorno alla formula "partito di lotta e partito di governo".

La minoranza di sinistra sembra essere di fatto la più emarginata e la meno incisiva nel condizionare il dualismo di potere in Rifondazione. Di fronte ad una definizione sempre più marcatamente moderata e compatibilista con le manovre governative, più di 100.000 miliardi di lire in un anno e mezzo di provvedimenti finanziari del governo Prodi, la minoranza appare incapace di affermare un progetto proprio capace quanto meno di allargare alcune contraddizioni che stanno maturando in seno al partito. Le minacce gridate di una ipotetica scissione rimangono sempre tali, non riuscendo a concretarsi con un ordinato progetto di frazione, tanto che la fuoriuscita di alcune individualità si presenta come fenomeno disorganizzato ed incapace oggettivamente di trascinamento di settori radicali interni ed esterni al partito.

Piccole e medie realtà politiche organizzate, che durante la prima fase avevano aperto non poco credito verso una esperienza che pensavano di poter condizionare, si trovano di fatto irretite dal nuovo apparato che sapientemente è riuscito a fagocitarle.

Così stando le cose il partito si avvia verso il fatidico giorno della crisi di governo o meglio, giorno dello "scherzetto" di Bertinotti nell'aula di Montecitorio. Il segretario ha chiaro, e lo dice apertamente ai giornalisti in quei giorni di cronaca, che il partito non ha strappato niente per il suo totale appoggio al governo. Niente sul terreno strutturale, niente su quello culturale. Lo smantellamento dello stato sociale procede sui ritmi imposti dal Fmi, la precarizzazione del lavoro procede anche grazie al voto positivo sul pacchetto Treu che Rifondazione ha disciplinatamente concesso, sul tema della riforma dello Stato e di quella elettorale la tendenza al rafforzamento del potere esecutivo e della banalizzazione di quello parlamentare è cosa fatta.

Le scuole pubbliche vengono sostanzialmente equiparate a quelle private e confessionali, l'emigrazione diviene questione di ordine pubblico e le sue quote legate esclusivamente alla richiesta delle aziende come forza lavoro a basso costo. Nemmeno sul terreno dei diritti effimeri, Rifondazione riesce a strappare un impegno governativo verso non tanto la legalizzazione delle droghe leggere, quanto per una sua depenalizzazione.

Insomma tutto il gridare spettacolare del fotogenico segretario non aveva contribuito a portare a casa che poche briciole. Probabilmente Bertinotti in quel giorno a Montecitorio aveva anche delle questioni personali da affermare. Faccio la crisi, disse dunque il segretario che non osava guardare in faccia Cossutta il quale non sembrava proprio soddisfattissimo di come stavano andando le cose. Lui, il Cossutta, che in altri tempi aveva sostenuto sia Breznev che Andreotti non comprendeva proprio di come si potesse mostrare ostilità verso il buon Prodi o verso l'uomo tutto di un pezzo quale è D'Alema. Non comprendeva proprio, ed insieme a lui non comprendeva il "saggio" ed a volte eretico Ingrao, la spesso brillante compagna Rossanda, l'intero collettivo redazionale dell'eclettico "Il Manifesto" che per alcuni giorni ha trasformato le sue pagine in una deamicissiana raccolta di lettere di ingiurie e di sgomento verso quel misero segretario che voleva scacciare i comunisti dal governo per ridare l'Italia in pasto alla terribile destra. Non comprendevano quelle migliaia di iscritti e di elettori così come i compagni della Fiom di Brescia, anche i sempre arrabbiati dei centri sociali del mitico Nord/Est, Leoncavallo in testa, che addirittura avevano organizzato una delegazione in partenza verso Roma nel tentativo di scongiurare l'imminente catastrofe. Insomma non comprendeva nessuno, forse nemmeno la minoranza trotskista interna che aveva già dato per scontato l'appoggio alla finanziaria il che le avrebbe consentito di rimarcare nuovamente il fatto che nel partito, visto il comportamento moderato dell'apparato, le possibilità per un ribaltamento degli equilibri era all'ordine del giorno e che loro erano lì pronti per affermarlo.

Tale sgomento durò pochissimo. Passano poco più di 24 ore ed il segretario resosi conto che lo scherzetto poteva diventar affare serio, specialmente per quanto riguardava la sua stessa permanenza di leader, fa marcia indietro. E lo fa, dobbiamo riconoscere, in maniera brillante. Ha bisogno di un elemento di forte impatto sul terreno simbolico e di immagine. La riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore di cui sta parlando Jospin in Francia gli offre questa possibilità. Facciamo come in Francia, dice, e Rifondazione ritornerà a sostenere il governo Prodi. Così è andata. Non entro nello specifico della questione delle 35 ore. Rimane il fatto di un percorso compiuto dal partito della Rifondazione Comunista, che, come accennavo in apertura, sta giungendo al capolinea della verifica storica, facendo chiarezza attorno ad una esperienza che tante aspettative aveva creato e crea tuttora nell'immaginario di tanti compagni sufficientemente disorientati ma tuttora destinati alla ricerca di un soggetto politico, capace di affermare la praticabilità di un altro modello di produzione e di riproduzione sociale.

Questo dovrebbe essere il terreno di riflessione anche per tutti quei compagni che non hanno mai scommesso una lira sulla possibilità concreta che Rifondazione potesse rappresentare questo soggetto. Riflessione che, al di là delle necessarie critiche prodotte verso una esperienza particolare, sia capace anche di articolarsi in una serie di proposte e di progetti politici tali da rappresentare una alternativa percorribile di un soggetto politico realmente anticapitalista, antistituzionale, capace quindi di trasformare in prassi rivoluzionaria istanze e bisogni oggettivamente emergenti da ceti e classi subalterni, sfidando apertamente l'egemonia socialdemocratica di tutte quelle forze politiche che ancora si cullano nell'utopia del governo democratico delle contraddizioni dell'imperialismo.